Si fa risalire all’anno 1091 la liberazione definitiva di Scicli dal dominio saraceno per opera di Ruggero d’Altavilla e il passaggio al dominio normanno. A questa battaglia, avvenuta nella Piana dei Milici è legata la leggenda della Madonna delle Milizie ogni anno ricordata con una festa che è una delle principali attrazioni folcloristiche di Scicli.
Scicli, con un passaggio graduale dal colle al piano, assunse la sua forma topografica tra il XIV ed il XVI secolo. La popolazione era aumentata notevolmente ma prima la peste del 1626 e poi il tremendo terremoto del 1693 portarono alla decimazione della popolazione e alla distruzione di buona parte della città. Da quelle macerie, Scicli rinacque in chiave tardo barocca, e oggi è caratterizzata da numerosi edifici settecenteschi. Negli ultimi decenni è stata scelta come set di pellicole cinematografiche e fiction come “Il commissario Montalbano”. Il Comune di Scicli è, nella fiction, il commissariato di Vigata.
Fra gli edifici più noti meritano una vista Palazzo Beneventano, il più famoso edificio nobiliare di Scicli ed uno dei più interessanti della Sicilia barocca, un capolavoro per l’aspetto scultoreo che caratterizza le sue due facciate fastosamente decorate. Palazzo Fava e Palazzo Spadaro, diverse importanti chiese tra cui la Chiesa di San Matteo, la Chiesa di San Bartolomeo realizzata nel XV secolo, che conserva anche un bel presepe ligneo, la Chiesa di San Giovanni Evangelista e la Chiesa di Santa Maria la Nova.
I dintorni offrono uno dei tratti di costa più scenografici della Sicilia con alcuni chilometri di spiagge di sabbia dorata fine tra Donnalucata e Sampieri, di cui alcuni tratti fanno parte di aree naturalistiche sottoposte a tutele ambientale tra cui quella della foce del fiume Irminio.
CITAZIONI: Lo scrittore Elio Vittorini, nel suo libro le Città del Mondo, nel 1955 la descriveva così:
“….. Uno degli anni in cui noi uomini di oggi si era ragazzi o bambini, sul tardi d’un pomeriggio di marzo, vi fu in Sicilia un pastore che entrò col figlio e una cinquantina di pecore, più un cane e un asino, nel territorio della città di Scicli. Questa sorge all’incrocio di tre valli, con case da ogni parte su per i dirupi, una grande piazza in basso a cavallo del letto d’una fiumara, e antichi fabbricati ecclesiastici che coronano in più punti, come acropoli barocche, il semicerchio delle altitudini. È nell’estremità sud-orientale dell’isola; e chi vi arriva dall’interno se la trova d’un tratto ai piedi, festosa di tetti ammucchiati, di gazze ladre e di scampanii; mentre chi vi arriva venendo dal non lontano litorale la scorge che si annida con diecimila finestre nere in seno a tutta l’altezza della montagna, tra fili serpeggianti di fumo e qua e là il bagliore d’un vetro aperto o chiuso, di colpo, contro il sole… Ma che cos’è? – domandò – È Gerusalemme? Aveva negli occhi punte azzurre di sole che gli impedivano di distinguere che faccia facesse suo padre. L’udí in ogni modo rispondergli: «Non so che città sia». Egli, con questo, non aveva detto che non poteva essere la Città per eccellenza: «Gerusalemme o altro che si chiamasse….Come devono essere contenti in questa città!…”